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martedì 14 dicembre 2010

Nonno Timoteo e la Signora dal Vestito Blu


La Signora dal Vestito Blu passeggiava lungo la via principale della città.
“Ho saputo che si è iscritta alla Sezione Avvertitemi Se Scrivo Qualcosa.
Spero di averla sempre tra le mie lettrici e le auguro una piacevole giornata”.
Nonno Timoteo era emozionato per l’arrivo del Capodanno Cirillico.
“Non mancherò di leggere al più presto il suo racconto per quanto vorticoso possa essere.
Non sa cosa darei per farlo oggi stesso.
 Se potessi stare nel calduccio del mio ufficio invece che all’interno di una postazione artica.”.
La Signora dal Vestito Blu si metteva il Rossetto Rosso Cardinalizio.
“Lei è proprio una Signora divertente e rispettabile.
Se avessi qualche decina di milioni di anni di meno, le farei una corte sfrenata.
Attenderò con un sorriso il suo parere sulle mie modeste pubblicazioni”.
Nonno Timoteo si gratta il mento pensieroso mentre prova a concludere le Parole Crociate Infuocate.
“Può proprio dirlo: non esistono più gli uomini di una volta.
Questa frase risulta oltremodo ovvia e ridondante.
Non per essere scortese, ma quanti anni ha?  
Mi pare di aver visto una sua foto accanto al temibile Gensis Khan.
Ma mi pare strano giacchè il suddetto Gengis difficilmente si fa fotografare e nemmeno esistevano le macchine fotografiche a quel tempo.
Suvvia, non faccia il timido: li porta comunque benissimo.
In spalla li porta.
Io non ho la tendenza a guardare uomini più giovani di me e lei, secondo un ragionamento LogicoDeduttivoMatematicoAlgebricoGeometricoAlgoritmicoIncredibilmenteScettico, non mi pare abbia più dell’età delle Piramidi.
Sbaglio?
Stia al caldo: è a rischio vaccino anti-influenzale”.
La Signora dal Vestito Blu sorride mentre si prepara a dar da mangiare ai gatti.
“Lei mi corteggia con le parole avvolgendomi in un confortevole piumino di dolcezza, ironia e malizia che trovo adorabile.
Specie per un uomo che ormai a stento ricorda quando piacevole sia avere questo tipo di trasporto per una donna.
La mia età non è un mistero.
Non si può dire la stessa cosa di Moira Orfei.
Ma il tempo è galantuomo, tiranno e pure artigiano con partita IVA a tempo perso per cui accontentiamoci di un amore che sia di pensiero e di affinità.
Lei è giovane, di una bellezza quasi aristocratica, ricca di dialettica e pervasa di un sano modo di scherzare e sdrammatizzare”.
Nonno Timoteo bacia la mano della Signora dal Vestito Blu.
Poi si avvicina e le bacia le labbra.
Il giorno dopo La Signora dal Vestito Blu riceve una lettera.
“Cara Signora dal Vestito Blu,
la seduzione delle parole nasce dall’uso che se ne fa.
Sono stato sedotto.
Sedotto dall’insieme che è un miscuglio di tanti piccoli particolari.
Piccoli relativamente.
Quel bacio inaspettato è nato dalla voglia di darlo.
Sono stato sedotto.
Che per la mia non giovane età non è per nulla banale.
E’ un bacio che significa serenità.
Ma anche passione.
Gli ingredienti per stare bene con qualcuno sono più o meno gli stessi.
Età, ceto sociale, copertura assicurativa e propensione al rischio non contano.
Ma questi ingredienti non li aggiungiamo in un ordine prestabilito.
A volte sono gli ingredienti che scelgono noi.
O non ci scelgono.
Il mondo degli spasimanti non mi appartiene più ormai.
Sono piuttosto un ansimante.
Un vecchio ansimante.
Un uomo che continua sì a respirare ma che a volte fa fatica.
Che ha bisogno di ossigeno.
Oggi me ne è stata donata una boccata ed io me la sono presa.
Aria buona, aria pura.
Quel bacio l’ho trovato favoloso.
Ricordi di un tempo che fu.
Mi ha sedotto, Signora dal Vestito Blu.
Il gioco della seduzione ha la stessa età dell’essere umano.
E forse già l’Australopiteco seduceva l’Australopiteca a Uomini, Donne e Australopitechi.
Non nascondo che mi piace.”.
Nonno Timoteo pensava che se l’inverno prosegue così, ci sarà bisogno di altra legna.
“Parole che scorrono a fiumi.
Parole vere, senza filtri.
Lette e rilette con un accenno di sorriso per la loro traboccante tenerezza.
Mi sono trovata bene a parlare con lei, Nonno Timoteo, ma c’era qualcosa che non mi tornava.
Non riuscivo ad inquadrarla come invece mi riesce scrivendole.
Mi sono sentita un po’ sollevata quando si è sgomberato il campo da ambiguità.
Ho osservato, ho ascoltato.
Ma non di quegli ascolti passivi che seguono le parole con un lento dondolio del capo ad indicare una presenza fatta di vuoto fluire.
Ho ascoltato ed ho osservato.
Ho visto una persona viva, pieni di interessi che l’accomunano a me,  alla ricerca di qualcosa.
Non si sa bene cosa.
Ho visto un uomo anziano.
Ma anche molto giovane.
Uno scatto mosso, di quelli che non riescono a trattenere un’ immagine perchè troppo veloce per poterla trattenere in un istante.
Ho frenato col mio buon ABS.
Tirato un sospiro, mi sono ritrovata fra le sue labbra.
Bello quel bacio, sì, bello quanto inaspettato.
Continuo a cercare altri pezzettini di lei nel suo album dalle mille immagini colorate.
Pieno solo per metà”.
La Signora dal Vestito Blu sorseggia una tisana miele, vaniglia e sospiri.
“Sedurre può voler dire anche ascoltare.
Ed ascoltare è capire.
Ho scoperto che mi piace guardarla negli occhi.
Non lo potevo fare scrivendo.
C'è la sua verità lì nascosta, Signora dal Vestito Blu.
Difesa come è giusto che sia ma non impenetrabile.
La lascerò cercare curiosa tra le mie immagini e quando ne troverà di belle, si fermi a guardarle con quegli occhi curiosi e profondi.
Se si sentirò, ne disegni pure qualcuna con me.
Sono immagini che possiamo condividere.
Ho un'idea che mi è venuta ieri rileggendo la nostra corrispondenza.
Le volevo chiedere se le darebbe fastidio diventare parte di un racconto.
Le chiedo ovviamente il permesso di poterlo fare.
Non mi permetterei mai di usare la nostra corrispondenza a fini materialistici.
Attendo un suo confortante riscontro.
E le rinnovo la mia stima ed il mio entusiasmo.
Il suo "anagraficamente sventurato" Timoteo”.
Nonno Timoteo stava tagliando i rami secchi della pianta dei Piedi Pedanti.
“Ognuno di noi scrive la trama della propria vita, Caro Nonno Timoteo.
Il mio è un libro incompleto ma appassionante, fatto di scelte difficili e determinate, mai comode.
E quando leggo racconti paralleli, tanto distanti dal mio, che mi vorrebbero come comparsa, chiudo quel libro.
Sono e vorrò essere sempre l'attrice protagonista.
Anche a costo di sofferenze.
La ringrazio per i suoi bellissimi complimenti: spero di poterli meritare davvero.
E naturalmente accetto di buon grado la sua proposta.
Sono solleticata dall'idea, incuriosita, attratta, inorgoglita di poterle essere al fianco.
Insomma, è un sì.
La Signora dal Vestito Blu leggeva il suo Libro del Comodino Sottilineato di Recente.
“Siamo artefici del nostro destino e reclamiamo un ruolo da protagonisti.
Quantomeno nella nostra vita.
La passione ci guida, magari celata agli occhi dei più, ma evidente a chi fa della passione la propria ragione di vita”.
Nonno Timoteo volgeva lo sguardo a Est.
La Signora dal Vestito Blu era accanto a lui.

lunedì 22 novembre 2010

Pacchione Sangallo e il Pitone Mangiafuoco


Non si ha sempre voglia di uscire.
Così pensava Pacchione Sangallo mentre si infilava i mocassini color patè de foie gras.
Era stato invitato ad un Ricevimento Straordinario di Condominio in Abito Scuro e pensava che avrebbe avuto miglior fortuna che restare aggrappato a Nobili Propositi Casalinghi.
Però uscire era sempre uno stress.
Un po’ per le ortiche nelle scarpe un po’ per il Pitone Mangiafuoco.
L’anno prima era andato al cinema a vedere le Polpette Avvelenate dello Zio Sam.
Un filmone bellico sull’odissea dei Samurai di Nocera.
Il Pitone si era addormentato a forma di capro espiatorio e il pubblico non aveva gradito.
Né il film né il pitone.
Pacchione si era sentito umiliato specie quando una signora vestita di campanelli l’aveva guardato con disprezzo ed infinita saggezza tipicamente orientale.
Il contrasto seminava il panico nella testa di Pacchione ma ben più evidenti furono le conseguenze sul Pitone Mangiafuoco.
Prese la signora, senza nemmeno presentarsi, e la portò con sé.
La portò dentro di sé.
Ne fece una borsetta da spalla e due paia di guanti.
Uno per le occasioni importanti, uno per le situazioni confortanti.
Il marito non gradì.
Ma poi, fatti due ragionamenti di ornamento, restò piacevolmente colpito: i primi due guanti erano per lui.
Pitone fu incarcerato e sottoposto al Carcere Duro per Esseri Striscianti.
Non capendone la sostanza e fraintendendone la finalità correttiva autoironica, si lasciò morire di fame rifiutando a più riprese topi al papavero e panini al prosciutto.
La fine del Pitone fu un duro colpo per Pacchione.
Ogni volta che doveva uscire, pensava a quella tragica sera.
Alla signora, ai guanti, ai Samurai di Nocera.
Alla fine non usciva.
Fingeva.
Si vestiva e si specchiava.
Si pettinava e si metteva l’orologio di argilla con i secondi di diamanti a 24 carati.
Poi sospirava e si sedeva sul lato sinistro del divano dove normalmente poggiava la testa Pitone.
Piangendo e ridendo toglieva l’orologio, la cravatta, le stimmate e la spilla da balia.
Interrogandosi sulle segrete note di Sandalo del Vetiver e sui vasti diluvi del Panjamastan.
Va così quando non c’è la reale volontà di uscire.
Quando, se resti, sei preda del tuo tormento.
Se esci, sei preda del tuo stupore per l’involontaria comicità della situazione.
E ridere ti sembra un modo barbaro per ricordare un amico che non c’è più.
Un Pitone è pur sempre il migliore amico dell'uomo che divora.

martedì 16 novembre 2010

E per fortuna che non ho figli


Avevo prenotato un viaggio verso Panacea.
Un’isola del Mar dei Salassi in Crociera.
Fu all’aeroporto che conobbi F.
Aspettavamo entrambi l’aereo.
Non lo stesso.
Ma simile.
F. mi chiese se avevo da accendere e prese un toast.
F. gestiva un bar vicinanze piazza T.
La sua compagna H. lo aiutava al bar ma aveva anche una seconda occupazione.
Faceva l’infermiera a tempo debito.
Spesso passava la sera fuori casa e non preparava la cena.
Quando tornava aveva uno strano odore di N.
F. e H. non avevano figli e nemmeno un cane.
Vi chiedete perché le iniziali.
Perché non ricordo.
Perdonatemi se non ricordo il nome esatto delle persone conosciute all’aeroporto ma non stesso volo.
Era qualcosa come Ferdinando Ferramenta o Federico Farraginoso.
Lo chiamerò per semplicità F.
F. era fidanzato.
Era Fidanzato Felice Finchè Dura.
Poi un giorno decise che voleva un’amante.
No, non lo decise lui.
Lo decise Lei.
F. pensava che avere un’amante fosse una passeggiata.
Come dire che, invece di dedicarsi al miglioramento del proprio tenore di vita, F. iniziò a dedicarsi alla perdita di ogni forma di umanità.
Di dignità.
Di rispetto verso sé stessi.
Perché questo è il giudizio definitivo ed inoppugnabile che si può dare a posteriori.
F. iniziò la sua avventura nel mondo dei Fedifraghi Forsennati Fiduciosi leggero come un Flauto del Mulino Bianco.
Ma si ritrovò, con una rapidità degna del Cobra Tirocinante del Nord Dakota, una specie di rettile dallo sguardo minaccioso e le borchie sul dorso che ascolta i Metallica, ad essere un decerebrato che si aggira per le strade della città in piena notte come un cane randagio non vedente.
All’inizio non era così.
Per carità.
Mi raccontava e si raccontava.
Mi diceva: sto bene, un po’ di acciacchi dovuti al cambio di stagione ma nulla più.
Con Lei ci si vede poco e male ma è un poco e male che ha il sapore di fragola e panna.
Che vuoi che sia, un peccato di gola?
Una tosse passeggera?
Una rondine che fa primavera?
Ci si incrocia nel solito bar, sguardi carichi di passione, sguardi furtivi, sguardi clandestini.
Ci si vede nella discoteca con i bagliori tipo raggi gamma di Goldrake, ci si sfiora le labbra, ci si dice senza dire che è meglio che restare tra il dire ed il fare.
Poi decise che era ora di passare ai fatti.
Entrò in comunità e vi restò il tempo di una camicia.
Si vedevano in macchina, si avvinghiavano come trecce di mozzarella.
Mi hai pestato un alluce, sposta la scapola e fletti il gomito.
Se pratichi una torsione ad angolo ottuso possiamo pensare ragionevolmente di copulare.
Poi iniziarono gli appuntamenti veri e propri.
Giorno, ora, luogo, tredici verticale, quattro lettere inizia per S.
L’inizio della fine.
Un concetto che non è mai stato chiaro nemmeno all’inventrice dell’appuntamento, Francoise Des Oreal, marchesa di Savoia e Nutella.
La marchesa aveva un marito australopiteco per un terzo ribollito e il suo nome era Pento.
Un nome che dice tutto.
O quasi tutto.
O finge di dire tutto ed allora sono dolori.
La marchesa, stanca del menage matrimoniale, si dedicava con piacere al triage post-matrimoniale.
Che consisteva nel desiderare ogni uomo.
Ma non riusciva mai ad andare oltre incontro infuocati con il giardiniere, Vigliant D’Avanguard.
Un tipo losco, fosco e non più alto della media dei D’Avanguard.
Tornan do a F., lui e Lei si incontravano ad orari prestabiliti, dopo interminabili discussioni, cambi di programma, furiose esternazioni agli amici, verifiche parlamentari e decreti legge.
F. capiva che era arrivato al capolinea.
Una corsa gratis.
Ma per andare dove?
La leggerezza era svanita.
F. si ritrovava così immerso in una fitta ragnatela di menzogne, estorsioni, ricatti morali e psicologici, preghiere e minacce. 
Si inventava scuse per uscire e scuse per rientrare.
Non c’è mai stato un Corso Avanzato di Lettura per Cicloamatori.
Né tantomeno una Sagra del Porcino Caduto dal Cielo.
E quando metti un microchip con GPS nella borsa della tua lei, con la quasi certezza che lei abbia fatto lo stesso con il tuo portafoglio.
Quando gli amici diventano una nebulosissima schiera di generici identikit di personaggi inventati.
Quando vivi ansie ancestrali e malinconie da Madison County.
Quando confondi le stagioni, il giorno con la notte, Piero Pelù con Vasco Rossi.
Quando anche il tuo migliore amico, si rompe di darti una mano o meglio la mano te la vorrebbe dare in faccia.
Allora capisci che devi dire basta.
Sai esattamente cosa fare: cambiare macchina, comprare un’Audi.
E per fortuna che non ho figli, mi diceva F.
Aprirono i cancelli, arrivarono gli aerei, partirono le sirene ed F. si incamminò lento all’imbarco col suo toast in mano.